giovedì 23 febbraio 2012

Il "Vaticano"


Erano gli ultimi anni del secolo XIX o forse i primissimi del successivo, non saprei dire con precisione. Erano tempi nei quali la parola “abbondanza” era completamente sconosciuta e anche riuscire a dare un tetto alla propria famiglia non era poi scontato. Così succedeva spesso che diversi nuclei familiari si unissero per condividere spese e scomodità di un appartamentino in affitto (che era già un successo riuscire a trovare). Fu così per Angelo, giovane falegname giunto nel Golfo dalla fredda Lombardia diversi anni prima. Raggiunto in Liguria dalla moglie Rosina, non appena la sua famiglia si accrebbe, ebbe la necessità impellente di trovare una dimora più ampia. E fu così che, insieme ad una famiglia di conoscenti, trovò un appartamento in un palazzo signorile che, per ragioni che ignoro totalmente, era allora conosciuto come “il Vaticano”. Ad Angelo non pareva neanche vero aver trovato una sistemazione così decorosa, a pochi passi dal centro storico e dal mare, con una spesa tutto sommato ragionevole! Ma da subito fu chiaro che qualcosa non andava…

Fin dalle prime notti, difatti, iniziarono ad udirsi strani rumori provenire dalle altre stanze: oscuri scricchiolii, sordi tonfi, colpi sulle pareti. Evidente che, all’inizio, ognuno tese ad incolpare l’altra famiglia per quegli ‘attentati’ al giusto riposo, tanto più che la reciproca conoscenza era ancora in fase embrionale e massiccia era la presenza di infanti e ragazzini. Ma i reciproci sospetti furono accantonati la sera che le due famiglie al completo si attardarono più del solito nella grande cucina. D’un tratto si udì un rumore forte dal locale vicino; gli uomini si precipitarono in quella direzione brandendo in mano manici di scopa. Quadri, suppellettili, persino alcuni indumenti…tutto ciò che era appeso alle pareti o appoggiato sul mobilio adesso giaceva sul freddo pavimento. L’appartamento fu passato al setaccio ma non si trovò alcun intruso, né segni di effrazione sulla porta. Non si trattò purtroppo di un avvenimento isolato: quasi ogni notte il sonno veniva disturbato da inquietanti fragori e al mattino, al risveglio,QQ lo spettacolo era quello di un campo di battaglia. Poi iniziarono anche i contatti fisici: non era infrequente che, durante il sonno, gli abitanti dell’appartamento si sentissero sfiorare da mani gelide. Urla di terrore squarciavano la notte, sottolineando l’evento. Ma chi erano? Che volevano da loro?
Iniziò a farsi strada una vecchia diceria secondo la quale in quell’appartamento, diversi anni prima, fossero stati ritrovati i corpi in avanzato stato di decomposizione di due fidanzati morti suicidi; le loro anime dannate sarebbero state ancora prigioniere di quelle mura. La notizia si diffuse; ne parlarono i giornali e se ne interessò la Questura. In più occasioni la casa fu messa sotto l’attenta sorveglianza di quattro guardie: due nell’androne del palazzo e due in prossimità della porta di ingresso. L’iniziativa non ebbe successo e pare che anche le guardie ne uscirono malconce. Una sera che Angelo tornò a casa più tardi del solito, trovando già tutto sottosopra, disse alla moglie, esasperato: “Se sono vivi si facciano vedere; se sono morti vadano all’inferno!” Si sentì arrivare uno schiaffo talmente forte sulla guancia sinistra che si rintanò sotto le coperte senza proferire più parola. La sera seguente, incurante della neve che cominciava a cadere sulla città, Angelo riunì la sua famiglia e la condusse a pernottare nel suo laboratorio artigianale dove, per riscaldarsi un poco, accese un focolare improvvisato, bruciando trucioli di legno. Il Questore disse a Rosina: “qui c’è qualcuno che si diverte a fare la “fisica”; benedetta donna fate di tutto per cambiare casa perché avete una famiglia con bambini piccoli che si spaventano!” E così fu fatto. Angelo si affrettò a trovare una nuova dimora e trasferì la sua famiglia in un appartamentino che si affacciava sulla frenetica piazza del mercato; una collocazione sicuramente meno comoda e signorile ma molto, molto più tranquilla...

Questa potrebbe essere una storiella come tante altre, senza neanche il dono di una particolare originalità, se non fosse che…è vera.
Una trentina di anni dopo questi avvenimenti, il marito di Giuseppina (figlia maggiore di Angelo), uomo non particolarmente incline a credere alle “fantasie” di moglie e suocera, incontra un compagno di scuola che aveva trovato occupazione in un’altra città; egli, in trasferta di lavoro nel Golfo, confessa all’amico di essere alloggiato in un appartamento dove non riesce a riposare perché accadono “cose strane”. L’appartamento è lo stesso indicato dalla moglie.
Ancora diversi anni dopo, siamo approssimativamente negli anni ’60, il marito della figlia minore di Giuseppina riferisce di un’esperienza simile vissuta recentemente da un suo collega, alloggiato in un appartamento (non meglio precisato) sito in uno stabile non lontano dall’Arsenale Militare. Neanche a dirlo quello stabile è appunto “il Vaticano”.



p.s. qualsiasi contributo inerente fatti simili accaduti in questa zona è gradito

martedì 7 febbraio 2012

Pio II

Stimolato da alcuni lettori di recente frequentazione, richiedenti notizie intorno alla tragedia del pulcino citata nell'ultimo post (presentazione), ripropongo il post apparso su splinder nel lontano gennaio 2007 che la descrive fedelmente. Astenersi da facili umorismi...


PIO II

Tragedia domestica in 3 atti tratta da un episodio di vita reale



ATTO PRIMO

Albolo, Sabronide, Coro

(Vano di ingresso di una dimora piccolo borghese. Un paio di brutti quadri alle pareti e un comò  in stile barocco. Un grosso specchio incastonato in una pesante cornice finto-oro. Un telefono di bakelite, a rotella. Una grossa pianta. Sulla parete destra la porta che conduce alla sala da pranzo. Dalla parte opposta si ode un vociare di bambini in avvicinamento. Silenzio, si inizia!)

ALBOLO
Vieni, o fida sorella: fugge ora appena il rilucente Elios e tempo non è di prolungare più oltre i garruli giuochi. Vieni meco, ti condurrò nel loco ove potrai nettare i tuoi fanciulli sudori e abbeverarti con salvifica acqua cristallina e scaricare le eventuali e naturali deiezioni, figlie di ciò di cui ti nutri. Non temere: nessuno aprirà la sacra porta se accortezza avrai di saggiamente rigirare la provvida chiavetta!

SABRONIDE
Teco vengo,  nobile fratello ch’ignora ch’io sappia a cosa serva un cesso! Ma pria accondiscendi a questo mio desio: oramai è già trascorso un quarto di una luna da quando donammo ospitalità al piccolo nostro amico, in occasione della festa del santissimo patrono. Egli ancor non è stato nomato sicché io temo possa andare incontro a folli crisi di identità! Aiutami, ti prego, ad egli un nome attribuire, sicché possa essere idoneamente appellato!

ALBOLO
O notte di tregenda che porta a scomodare gli stanchi miei neuroni per un sì gravoso onere! Non posso, credimi, assolvere a questo compito, ch’è troppo vasto per le mie esili forze!

SABRONIDE
Ti supplico fratello, compagno di mille avventure, che un tuo diniego farebbe me morire! Considera poscia il fatto che il tuo amato Geppo l’orsacchiotto trovasi attualmente nascosto in loco solo a me noto…

ALBOLO
Amata sorella, frutto di un malaugurato errore genitore, aiuterotti…cogitiamo insieme…Ma ecco! O sommo gaudio! Ho trovato! Dunque, come si nomava il primo nostro amico pennuto, perito di mal oscuro pochi dì or sono? PIO, mi pare. Orbene, codesto pennuto sarà PIO II!

SABRONIDE
O geniale fratello, che sempre sia lodata la papale e sconfinata tua fantasia! Or mi recherò alla toeletta più sollevata e gaia!

CORO
Tranquilla e placida pare la fanciulla,
Siccome infante che riposa in una culla,
Ma la vita osserva, come per dileggio,
che non v’è mai una vera fine al peggio!

ATTO SECONDO

Albolo, Madre Premurosa, Pio II, Coro

(Il palco girevole porta la scena nella sala da pranzo. Un tavolo massiccio, apparecchiato per la cena. Un antiquato televisore che trasmette immagini in bianco e nero. Sullo sfondo si intravedono le cucine. Sulla parete di sinistra la porta che conduce all’ingresso. Da essa entra Albolo.)

ALBOLO
Madre, madre!

MADRE PREMUROSA
Cosa diavolo hai combinato Albolo, che ne è di tua sorella?

ALBOLO
Madre, foste Voi a concepire una sorella sofferente di stipsi. Dove altro volete che ella sia se non a sforzare le sue giovani membra? Ma non di questo sono venuto a parlarvi: il nostro pulcino, l’ultimo sopravvissuto ai capricci di una natura matrigna e arrogante, ha oggi un nome! Si chiamerà Pio II!

MADRE PREMUROSA
Ah, bella idea! E allora vediamo di dare una bella pulita alle sue lussuose stanze, in quanto egli mangia come un pulcino ma defeca come tutto quanto il Vaticano e la corte d’Avignone!

ALBOLO
(accucciandosi verso una cesta ovattata nel quale è accovacciato un giallo pulcino)
Pulcino adorato, da oggi e per sempre tu vivrai tra queste mura con il nome di Pio II. Sarai lo svago dopo le mie fatiche, la gioia che sconfigge le mie tristezze, compagno fedele del mio farmi uomo!

PIO II
(senza essere da altri compreso)
O stranissimo genitore implume, assai grato ti sono per questo gesto di incommensurabile amore che hai dimostrato battezzandomi con il nome di un Pontefice del ‘400. Sebbene ritenga che il nome di un defunto mi potrebbe portare sfiga, ti voglio ripagare del bene che mi vuoi…e lo farò seguendoti sempre in ogni tuo movimento e stando a fianco a te nelle gioie e nelle difficoltà, finché morte non mi separi!

ALBOLO
Madre premurosa, il Vostro desio sarà per me dovere ma concedete che pria mi rechi a cambiar d’abito, in modo da non lordare codesti vestimenti immacolati…

MADRE PREMUROSA
Va pure figliuolo, ma rammenta di chiudere dietro di te la porta, in modo che PIO II non si disponga a seguirti!

CORO
Stai attento, dolce e candido Albolino
Ché assai piccolo e sgusciante è il pulcino.
Chiudi ogni porta, accosta le vetrate:
non commeter le tue solite stronzate!

(Albolo esce, seguito dal pulcino)

ATTO GROSSO
Albolo, Pio II, Coro
(Il palco gira e si ritorna nel vano di ingresso. Albolo chiude la porta, non avvedendosi che il pulcino è entrato)

PIO II
(senza essere da altri compreso)
Aspettami, o grande madre chioccia! Fa che io possa raggiungerti e camminare sotto la tua ombra, siccome il nostro istinto prevede!

CORO
(più forte)
Albolo, stai attento a quel che fai:
potresti non dimenticarlo mai!!!

ALBOLO
(tra sé, sbadigliando)
Mi dirigo nelle mie stanze…

CORO
(ancor più forte)
Albolo, sei più duro di una noce:
abbiamo ormai perduto anche la voce!

(Albolo compie un passo e…)

CORO
Nooooooo!!!


SPLASHHHH!!!


ALBOLO
(guardandosi il piede sporco di sangue)
Noooooo!!!

PIO II
(ridotto a sottiletta sanguinolenta)
O pesantissima mia chioccia, perché mi hai fatto questo? Non ho forse sempre tentato di allietare i tuoi giorni tristi? Non mi sono forse mostrato sempre affettuoso e avido di carezze? Non ti ho sempre seguito e guardato come un dio? E quante volte ho aspettato solo che quel dio mi guardasse e mi donasse un po’ di considerazione? E ora, come un dio maligno, mi dai un’orribile morte, tremenda punizione per un male che io non ho commesso. Vedi, ogni particella di vita, che volentieri avrei speso ancora e solamente per te, adesso si diparte da quel che resta del mio corpo; i miei occhi si socchiudono, mentre ancora ti guardano, come a chiedere perdono di una colpa che non riesco a comprendere ma che necessariamente vi è, perché, come ogni madre, non è possibile che tu sia cattivo…

ALBOLO
(piangendo)
Oh, lasso! Tu non sai quanto il peso del mio stesso passo adesso mi opprima e mi spenga ogni ardore di vita, tanto che anch’io vorrei morire teco! Ma non guardarmi con quegli occhi tristi, che ancora chiedono un ultimo atto di amore e di perdono. Tu non hai colpe. Solo io le ho. Solo io che ho tradito le speranze di chi mi amava e viveva per me. E a ciò non v’è rimedio. L’unica medicina agognata sarà l’oblio o una precocissima follia…

CORO
(mestamente, a voce bassa)
Il fato più crudele nella vita
È causa esser della dipartita
di chi ti ama. E per punizione.
Agli inferi cadrai in un girone
Nel quale sarai oppresso - è il contrappasso -
Da un pollo di tre metri…bello grasso.