domenica 20 luglio 2014

Del Caso, della Fisica e della Pupù



Quando ero piccolo, ma piccolo parecchio (per intenderci, non la settimana scorsa), sostenevo con fierezza che da grande avrei voluto sposare la mamma e una mucca. Ma non si pensi che avessi nella mente progetti zoofili ed incestuosi. D’altro canto ero in grado di argomentare le mie scelte con considerazioni di un certo rilievo che naturalmente ora non ricordo. Ritengo comunque che sia tutto sommato naturale che un bambino, mammifero per giunta, veda nella figura materna un faro da seguire. Per la mucca il discorso si faceva senz’altro più complicato ma non è il caso di approfondire. E poi le mucche sono buone, sono ciccione, mangione, pacate e hanno negli occhi quell’espressione bovina che gli altri mammiferi, per forza di cose, non hanno.
[Che poi abbia sempre sostenuto la superiorità degli animali ovipari sui mammiferi, data la loro propensione a non portarsi dietro per mesi il frutto della procreazione, con grande fatica e danno, è un altro discorso.]
Ma torniamo alle vacche. La loro figura mi ha sempre emozionato. Ricordo che una volta, durante una gita in alta montagna, scorsi in lento avvicinamento un intiera “mandria” bovina, tintinnante di mille campanelli. Emozionato come un bambino (d’altronde lo ero) iniziai a correre lungo il prato per raggiungere ed avvisare i miei familiari. Così facendo imparai con metodo galileiano vari principi della fisica classica. Difatti inavvertitamente posi un piede sopra ad una di quelle gigantesche “frittelle” marroni, frutto di bovidi intestini, quelle secche in superficie ma che all’interno contengono un cuore di morbida “scioglievolezza”, le stesse che mi divertivo a forare con un bastone per scoprirne l’anima morbida e di colore cangiante .


Immancabilmente la “frittella” mi fece scivolare e, finendo a terra su di un fianco, investii altre due, tre, dieci frittelle; sicché ragionai sul concetto di attrito e, parendomi sensato poterlo approssimare a zero, teorizzai il primo principio della dinamica (alpestre): in assenza di attrito, un corpo (tonto) tende a mantenere il proprio stato di moto rettilineo uniforme, finché una forza salvifica nelle vesti di cespuglio di mirtilli non agisca su di esso, arrestandone la corsa con qualche escoriazione.
Naturalmente erravo, perché mi trovavo non in piano ma in declivio e la cacca diminuiva ma non annullava l’attrito, sicché il problema sembrava più simile a quello del piano inclinato e del moto  uniformemente accelerato. Per cui, essendo α l’angolo di inclinazione del pendio, viaggiavo con un’accelerazione proporzionale in modulo a quella di gravità moltiplicata per la differenza del seno di α e del coseno di α, quest’ultimo moltiplicato per il coefficiente di attrito fecaloide, che chiameremo μf. Devo dire, per completezza, che tali elucubrazioni si esaurirono alla prima inspirazione.

Nel tragitto verso l’albergo io fui imballato sul sedile posteriore dell’autovettura, scrupolosamente rivestiti di carta di giornale. E qui fui costretto ad ammettere - mio malgrado - l’utilità e il diritto all’esistenza anche di un quotidiano come “L’Unità”.
Giunti all’albergo mi gettarono nella vasca e con grande stupore fui erudito sul principio di “Archimede il Montanaro”: un corpo (tonto) immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l'alto, pari al peso del liquido spostato. E per fortuna “spostato” e non “sporcato” altrimenti avrei ricevuto una spinta talmente grande da poter diventare elemento decorativo del soffitto per diversi giorni.

 
Adesso, non che io mi lamenti, ma se è vero come dicono che la cacca porti fortuna … dopo quella terribile esperienza avrei dovuto vincere almeno un paio di volte al superenalotto o all’allora più in voga totocalcio. E, in caso contrario, dovrei perlomeno odiare mucche, buoi, tori e affini fino alla quarta generazione e oltre. Invece niente di tutto questo: sono povero ed emaciato come prima e come prima provo simpatia per questo straordinario mammifero. Anche se, a tavola imbandita, mi sento spesso un po’ più cinico di prima.