Che belle le ortensie! Come mi piacevano le ortensie! Con
quei loro fiori, riuniti in infiorescenze che paiono aprirsi a ombrello, come i
fuochi d’artificio in una notte di festa! Nel vialetto che conduceva alla
vecchia casa di mia nonna ve ne erano diverse piante ed erano straripanti e
incontenibili in giugno con i loro enormi fiori rosa e quelle sfumature dal
viola all’azzurro. Che belle che erano e sapevano di campagna e sapevano
d’estate. Sapevano di quelle sere d’inizio estate, con le scuole appena terminate
e un indefinibile senso di libertà e follia. Sapevano di quelle sere, quando io
e mia sorella rimanevamo a dormire dai nonni con lo scopo dichiarato di “vedere
le lucciole”. Lucciole in città non ve ne erano proprio, no no, neanche a
cercarle con scrupolosità e attenzione. Da mia nonna invece c’erano e non vi
immaginate nemmeno quante ed io e mia sorella andavamo là appositamente per
quello. Ci facevamo portare in tarda mattinata, giusto in tempo per accampare
la giusta pretesa di desinare nella baracca che mio nonno ci aveva costruito
nel giardino. Il pomeriggio trascorreva tra giochi e qualche mia simpatica
“scortesia” nei confronti dei vicini antipatici e impiccioni (simpatica per me,
per loro molto meno). Poi la cena all’aperto e, mentre mio nonno si
addormentava a petto nudo su una sedia, divorato dalle zanzare, per me, mia
sorella e mia nonna giungeva l’ora delle lucciole. Armati di indicibile
coraggio e di una piccola “arbanella” (piccolo contenitore in vetro dotato di
chiusura, per i non spezzini) ci dirigevamo emozionati verso il “pianone”,
un appezzamento di terreno strutturato
ad ampie piane adibite ad orto dai legittimi proprietari che – tengo a
precisare - non eravamo noi. Percorrevamo la breve stradicciola che saliva
verso la collina e, superate le ultime case, quando il buio si faceva
profondo…ecco lo splendido scenario di quel mare sconfinato di lucciole! Era
uno spettacolo emozionante e misterioso quello sfavillio intermittente e
leggero e riempiva il cuore di un’emozione che adesso non so dire…
Siccome poi eravamo bambini - e quindi naturalmente cinici e
cattivi - pretendevamo di avere anche noi un frammento di quella Bellezza
Cosmica, per cui ne catturavamo quattro o cinque esemplari e li rinchiudevamo
nella famosa e vitrea arbanella. Giunti a casa e, svegliati il nonno e le
zanzare, ci preparavamo per la notte, trasferendo le lucciole in un bicchiere
(coperto da un cartone forato) che tenevamo sul comodino. Era bello
addormentarsi nel grande letto che sapeva di bucato, mentre mia nonna ci
raccontava avvenimenti della sua infanzia e si sentiva in lontananza soltanto
il rumore della ferrovia.
La mattina ci svegliava il canto delle galline e mia
nonna era già in cucina a preparare la colazione. Caffelatte servito in
terrazza e la cerimonia di liberazione delle lucciole (quelle sopravvissute)
che, perso il loro fascino notturno, erano fonte di una discreta delusione. Poi
tutti nell’orto a bagnare i pomodori e preparare il “pastone” per le galline:
pane raffermo ammorbidito in acqua mescolato con crusca, una pietanza che mi ha
sempre attratto e purtroppo non mi è mai stato concesso di assaggiare ma in
futuro chissà.
Poi venivano a prenderci i nostri genitori per ricondurci alla
legittima dimora e quella parentesi bucolica terminava con un po’ di malinconia
ma la certezza di un nuovo appuntamento per la festa cittadina di agosto,
quando tonanti e variopinti fuochi artificiali avrebbero abbracciato il cielo,
proprio come enormi ortensie multicolori. Che belle le ortensie, come mi
piacevano le ortensie! E sapevano d’estate e sapevano di magia e di molto altro ancora. Come
mi piacevano le ortensie. Non come adesso che le osservo...e non sento niente.