Quando ero piccolo, ma
piccolo parecchio (per intenderci, non la settimana scorsa), sostenevo con
fierezza che da grande avrei voluto sposare la mamma e una mucca. Ma non si
pensi che avessi nella mente progetti zoofili ed incestuosi. D’altro canto ero
in grado di argomentare le mie scelte con considerazioni di un certo rilievo
che naturalmente ora non ricordo. Ritengo comunque che sia tutto sommato
naturale che un bambino, mammifero per giunta, veda nella figura materna un
faro da seguire. Per la mucca il discorso si faceva senz’altro più complicato
ma non è il caso di approfondire. E poi le mucche sono buone, sono ciccione,
mangione, pacate e hanno negli occhi quell’espressione bovina che gli altri
mammiferi, per forza di cose, non hanno.
[Che poi abbia sempre
sostenuto la superiorità degli animali ovipari sui mammiferi, data la loro
propensione a non portarsi dietro per mesi il frutto della procreazione, con
grande fatica e danno, è un altro discorso.]
Ma torniamo alle vacche.
La loro figura mi ha sempre emozionato. Ricordo che una volta, durante una gita
in alta montagna, scorsi in lento avvicinamento un intiera “mandria” bovina,
tintinnante di mille campanelli. Emozionato come un bambino (d’altronde lo ero)
iniziai a correre lungo il prato per raggiungere ed avvisare i miei familiari.
Così facendo imparai con metodo galileiano vari principi della fisica classica.
Difatti inavvertitamente posi un piede sopra ad una di quelle gigantesche
“frittelle” marroni, frutto di bovidi intestini, quelle secche in superficie ma
che all’interno contengono un cuore di morbida “scioglievolezza”, le stesse che
mi divertivo a forare con un bastone per scoprirne l’anima morbida e di colore
cangiante .
Immancabilmente la
“frittella” mi fece scivolare e, finendo a terra su di un fianco, investii
altre due, tre, dieci frittelle; sicché ragionai sul concetto di attrito e,
parendomi sensato poterlo approssimare a zero, teorizzai il primo principio
della dinamica (alpestre): in assenza di attrito, un corpo (tonto) tende a
mantenere il proprio stato di moto rettilineo uniforme, finché una forza salvifica
nelle vesti di cespuglio di mirtilli non agisca su di esso, arrestandone la
corsa con qualche escoriazione.
Naturalmente erravo,
perché mi trovavo non in piano ma in declivio e la cacca diminuiva ma non
annullava l’attrito, sicché il problema sembrava più simile a quello del piano
inclinato e del moto uniformemente
accelerato. Per cui, essendo α l’angolo di inclinazione del pendio, viaggiavo
con un’accelerazione proporzionale in modulo a quella di gravità moltiplicata per
la differenza del seno di α e del coseno di α, quest’ultimo
moltiplicato per il coefficiente di attrito fecaloide, che chiameremo μf.
Devo dire, per completezza, che tali elucubrazioni si esaurirono alla prima
inspirazione.
Nel tragitto verso
l’albergo io fui imballato sul sedile posteriore dell’autovettura,
scrupolosamente rivestiti di carta di giornale. E qui fui costretto ad
ammettere - mio malgrado - l’utilità e il diritto all’esistenza anche di un
quotidiano come “L’Unità”.
Giunti all’albergo mi
gettarono nella vasca e con grande stupore fui erudito sul principio di “Archimede
il Montanaro”: un corpo (tonto) immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l'alto, pari al peso del liquido
spostato. E per fortuna “spostato” e non “sporcato” altrimenti avrei
ricevuto una spinta talmente grande da poter diventare elemento decorativo del
soffitto per diversi giorni.
Adesso, non che io mi
lamenti, ma se è vero come dicono che la cacca porti fortuna … dopo quella terribile
esperienza avrei dovuto vincere almeno un paio di volte al superenalotto o all’allora
più in voga totocalcio. E, in caso contrario, dovrei perlomeno odiare mucche, buoi, tori e affini fino alla quarta generazione e oltre. Invece niente di tutto questo: sono
povero ed emaciato come prima e come prima provo simpatia per questo
straordinario mammifero. Anche se, a tavola imbandita, mi sento spesso un po’ più cinico
di prima.