giovedì 10 maggio 2012

Il sordo


Consapevole della veridicità del detto “non c’è peggior sordo di chi non ci sente veramente una cippa” e afflitto dal dolore provocato da ciò che le sue orecchie ogni giorno erano costrette a percepire, il sig. Pancrazio decise di allenarsi a non sentire più. Non che si trovasse a vivere situazioni particolari o - per così dire - estreme, ma si era reso conto che anche nella banalità della vita quotidiana era costretto ad ascoltare un’innumerevole quantità di suoni che per drammaticità, ferocia o semplicemente stupidità ferivano nell’intimo il suo animo. “Ma c’è qualcuno o qualcosa che mi obbligano a sentire tutto ciò?” - si chiese un bel giorno e così…non sentì più. Certo, non riuscì nel suo intento in poche ore, né giorni, né settimane; ci volle qualche anno ma infine fu certo di non sentire più. E, a forza di non sentire, perse anche l’uso della parola. Ma tutto ciò sembrò non bastargli; infatti notava che, allorquando qualche molesto figuro cercava di comunicargli qualcosa, non era sufficiente non udire giacché le parole erano chiare lette sul labiale, quando non addirittura su fogli di carta. Così si allenò a non vedere, ma non a non vedere completamente, solo a non mettere a fuoco le immagini più vicine; una specie di presbiopia autoindotta. Così nei sempre più sporadici “approcci”, mentre l’interlocutore parlava senza ottenere risposta alcuna, in buon sig. Pancrazio fissava un punto non meglio definito perso all’orizzonte e intanto pensava bellamente ai casi suoi.
Ottenne quindi di vivere in una condizione ovattata e sublime nella quale nessuno stridio poteva trafiggerlo e le parole del mondo erano brezza che scorreva leggera e tiepida sulla sua pelle.

Una sera, mentre scendeva dalla scalinata che dall’oratorio di San Eustachio porta alla Piazza del Padiglione, scorse  una moltitudine di gente che pareva intenta ad ascoltare l’esibizione di un’orchestra composta da una ventina di individui che, stretti nei loro abiti da cerimonia, si davano un gran da fare a far vibrare archi, ottoni, timpani…
Si avvicinò per non vedere e si concentrò verso l’estremità sud della piazza, laddove un edificio di vaga ispirazione barocca impediva allo sguardo di perdersi nel dedalo di viuzze che conducevano alla marina. Sulla facciata dell’edificio campeggiava uno stendardo rossastro che pubblicizzava l’esibizione della famosa Orchestra Prepuzio che avrebbe eseguito, tra gli altri, il Gavarone Innamorato, opera prima del compianto maestro Attilio Clistere.
Che coincidenza! QQQQqqgggAAAAAAAAAAAAAAAQuello era il pezzo del Clistere che più l’aveva appassionato in gioventù, che lo faceva tremare d’amore e commuovere come un infante! Si mise ad annusare l’aria e tra i profumi della sera, in quella primavera che stava prepotentemente sbocciando, gli parve d’improvviso di percepire distinto e forte l’odore capriccioso di un si bemolle! Si disperò.
Istintivamente si chiese se ne fosse valsa la pena, se la cura non gli fosse stata più gravosa della malattia, se avrebbe potuto fare qualcosa per tornare indietro. Questo si chiese o – meglio – avrebbe voluto fare. Ma non poteva parlare e, del resto, comunque non si sarebbe sentito. 
Così si allontanò cupo e barcollante in direzione di Porta del Meretricio.


2 commenti:

  1. “Ma c’è qualcuno o qualcosa che mi obbligano a sentire tutto ciò?”

    Il signor Pancrazio deve aver detto questa frase dopo aver sentito e visto Maria De Filippi, o Giuliano Ferrara, o Carlo Conti, o Antonio e Marcello, o Barbara D'Urso, o Milo Infante, o Fabrizio Bracconeri, o Magalli, o Paola Perego, o...

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