giovedì 17 gennaio 2013

Superficialità



Del giorno che sono nato mi ricordo tutto alla perfezione, come fosse…un po’ di tempo fa o poco più. D’altra parte nella propria vita non si nasce tutti i giorni; al massimo due o tre in un’intera esistenza, per cui certe cose rimangono ben impresse nella mente. Rammento ad esempio che me ne stavo comodo al calduccio, quando mi ritrovai all’improvviso pigiato in un angusto pertugio ed ebbi il timore, per un attimo, di rimanervi per sempre; poi ad un tratto vidi la luce ed avvertii un senso di bruciore doloroso in gola e nel petto. Quindi fui afferrato da mani giganti e ricordo visi brutti e occhi bovini che mi scrutavano e mi parlavano come fossi deficiente, tanto che in un istante compresi la miseria umana. Fu allora che cominciai a piangere.

Poi mi misero in una specie di letto o gabbia, condividendo la sorte con un reggimento di altri esserini maldisposti e raggrinziti di cui ignoravo le generalità ed ai quali non diedi confidenza anche perché nel frattempo intuii l’esistenza dell’idea di fame ma non potendo provvedervi me ne feci una ragione e contemporaneamente percepii di essere dotato della capacità di ragionare (in sistema binario). Così iniziai a pensare. Da quel momento non ricordo più niente. 

Però deve essere stato un niente lungo se i miei ricordi successivi principiano sull’età dei tre anni circa, data cui attribuisco per logica il termine dell’esperienza del pensiero. Da quel momento fu tutto un gioco di equilibrismi per planare soave sulla superficie dell’onda perfetta. 

Non so cosa di preciso…ma qualcosa mi spaventò. Mi spaventò o mi angosciò. Oppure mi deluse. O entrambi i tre. Davvero qualcosa nei meccanismi della vita (o del suo contrario) deve avermi spaventato, perché fu da quel momento che decisi (o fui costretto) a muovermi con quella lucida superficialità che solo chi vive come la brezza marina che solletica la pelle in una notte estiva sa comprendere e apprezzare. 

Non so cosa di preciso…ma qualcosa mi suggerì che controproducente assai sarebbe stato affaticare la mente, sforzarla e spremerla per scavare la verità e raggiungere l’essenza cruda delle cose. Perché l’unico vero risultato sarebbe stato solo l’emergere di un grande dolore, senz’altri vantaggi. E allora meglio costruirsi un mondo poggiato su qualche piccola e deliziosa bugia, dalla quale liberare il volo dell’immaginazione. 

Per questo vi chiedo di non giudicarmi troppo male se sfioro la superficie delle cose ma non vi entro, se mi avvicino e poi mi ritraggo. Che scavino gli altri la Grande Buca mentre io resto seduto a guardarli divertito,  assaporando il profumo della terra bagnata. Forse questo è un modo come un altro di arrivare all’essenza. Ma ha senso chiedersi quanto le gocce di pioggia che cadono sull’oceano penetrino sotto la superficie increspata prima di poter essere considerate “mare”?

4 commenti:

  1. anche la brezza, se impatta sempre nello stesso punto, col tempo, penetra e scava.

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  2. Stare divertita a guardare gli altri che scavano è anche un po' la mia filosofia.
    Il sistema binario... ah ah ah!!!!Meno male che qualcuno lo ammette!

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  3. come direbbe il saggio, Sticazzi!

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  4. esserini maldisposti e raggrinziti mi fa troppo ridere :))
    ... ma sì che ha un senso chiedersi quanto ... a proposito...quanto?
    (albolo hai vegliato su di me, e io ti voglio bene... ora vado a leggere il resto)

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