Consapevole della veridicità del detto “non c’è peggior
sordo di chi non ci sente veramente una cippa” e afflitto dal dolore provocato
da ciò che le sue orecchie ogni giorno erano costrette a percepire, il sig.
Pancrazio decise di allenarsi a non sentire più. Non che si trovasse a vivere
situazioni particolari o - per così dire - estreme, ma si era reso conto che
anche nella banalità della vita quotidiana era costretto ad ascoltare
un’innumerevole quantità di suoni che per drammaticità, ferocia o semplicemente
stupidità ferivano nell’intimo il suo animo. “Ma c’è qualcuno o qualcosa che mi
obbligano a sentire tutto ciò?” - si chiese un bel giorno e così…non sentì più.
Certo, non riuscì nel suo intento in poche ore, né giorni, né settimane; ci
volle qualche anno ma infine fu certo di non sentire più. E, a forza di non
sentire, perse anche l’uso della parola. Ma tutto ciò sembrò non bastargli;
infatti notava che, allorquando qualche molesto figuro cercava di comunicargli
qualcosa, non era sufficiente non udire giacché le parole erano chiare lette
sul labiale, quando non addirittura su fogli di carta. Così si allenò a non
vedere, ma non a non vedere completamente, solo a non mettere a fuoco le
immagini più vicine; una specie di presbiopia autoindotta. Così nei sempre più
sporadici “approcci”, mentre l’interlocutore parlava senza ottenere risposta
alcuna, in buon sig. Pancrazio fissava un punto non meglio definito perso all’orizzonte
e intanto pensava bellamente ai casi suoi.
Ottenne quindi di vivere in una condizione ovattata e
sublime nella quale nessuno stridio poteva trafiggerlo e le parole del mondo
erano brezza che scorreva leggera e tiepida sulla sua pelle.
Una sera, mentre scendeva dalla scalinata che dall’oratorio
di San Eustachio porta alla Piazza del Padiglione, scorse una moltitudine di gente che pareva intenta
ad ascoltare l’esibizione di un’orchestra composta da una ventina di individui
che, stretti nei loro abiti da cerimonia, si davano un gran da fare a far
vibrare archi, ottoni, timpani…
Si avvicinò per non vedere e si concentrò verso l’estremità
sud della piazza, laddove un edificio di vaga ispirazione barocca impediva allo
sguardo di perdersi nel dedalo di viuzze che conducevano alla marina. Sulla facciata dell’edificio campeggiava uno stendardo rossastro
che pubblicizzava l’esibizione della famosa Orchestra Prepuzio che avrebbe
eseguito, tra gli altri, il Gavarone Innamorato, opera prima del compianto
maestro Attilio Clistere.
Che coincidenza!
Quello
era il pezzo del Clistere che più l’aveva appassionato in gioventù, che lo
faceva tremare d’amore e commuovere come un infante! Si mise ad annusare l’aria
e tra i profumi della sera, in quella primavera che stava prepotentemente
sbocciando, gli parve d’improvviso di percepire distinto e forte l’odore
capriccioso di un si bemolle! Si disperò.
Istintivamente si chiese se ne fosse valsa la pena, se la
cura non gli fosse stata più gravosa della malattia, se avrebbe potuto fare
qualcosa per tornare indietro. Questo si chiese o – meglio – avrebbe voluto
fare. Ma non poteva parlare e, del resto, comunque non si sarebbe sentito.
Così
si allontanò cupo e barcollante in direzione di Porta del Meretricio.
“Ma c’è qualcuno o qualcosa che mi obbligano a sentire tutto ciò?”
RispondiEliminaIl signor Pancrazio deve aver detto questa frase dopo aver sentito e visto Maria De Filippi, o Giuliano Ferrara, o Carlo Conti, o Antonio e Marcello, o Barbara D'Urso, o Milo Infante, o Fabrizio Bracconeri, o Magalli, o Paola Perego, o...
O alcuni colleghi del lavoro!!!
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