Del giorno che sono nato mi ricordo tutto alla perfezione,
come fosse…un po’ di tempo fa o poco più. D’altra parte nella propria vita non
si nasce tutti i giorni; al massimo due o tre in un’intera esistenza, per cui
certe cose rimangono ben impresse nella mente. Rammento ad esempio che me ne
stavo comodo al calduccio, quando mi ritrovai all’improvviso pigiato in un
angusto pertugio ed ebbi il timore, per un attimo, di rimanervi per sempre; poi
ad un tratto vidi la luce ed avvertii un senso di bruciore doloroso in gola e nel
petto. Quindi fui afferrato da mani giganti e ricordo visi brutti e occhi
bovini che mi scrutavano e mi parlavano come fossi deficiente, tanto che in un
istante compresi la miseria umana. Fu allora che cominciai a piangere.
Poi mi misero in una specie di letto o gabbia, condividendo
la sorte con un reggimento di altri esserini maldisposti e raggrinziti di cui
ignoravo le generalità ed ai quali non diedi confidenza anche perché nel
frattempo intuii l’esistenza dell’idea di fame ma non potendo provvedervi me ne
feci una ragione e contemporaneamente percepii di essere dotato della capacità di
ragionare (in sistema binario). Così iniziai a pensare. Da quel momento non
ricordo più niente.
Però deve essere stato un niente lungo se i miei ricordi
successivi principiano sull’età dei tre anni circa, data cui attribuisco per
logica il termine dell’esperienza del pensiero. Da quel momento fu tutto un
gioco di equilibrismi per planare soave sulla superficie dell’onda perfetta.
Non so cosa di preciso…ma qualcosa mi spaventò. Mi spaventò
o mi angosciò. Oppure mi deluse. O entrambi
i tre. Davvero qualcosa nei meccanismi della vita (o del suo contrario)
deve avermi spaventato, perché fu da quel momento che decisi (o fui costretto)
a muovermi con quella lucida superficialità che solo chi vive come la brezza
marina che solletica la pelle in una notte estiva sa comprendere e apprezzare.
Non so cosa di preciso…ma qualcosa mi suggerì che
controproducente assai sarebbe stato affaticare la mente, sforzarla e spremerla
per scavare la verità e raggiungere l’essenza cruda delle cose. Perché l’unico
vero risultato sarebbe stato solo l’emergere di un grande dolore, senz’altri
vantaggi. E allora meglio costruirsi un mondo poggiato su qualche piccola e
deliziosa bugia, dalla quale liberare il volo dell’immaginazione.
Per questo vi chiedo di non giudicarmi troppo male se sfioro
la superficie delle cose ma non vi entro, se mi avvicino e poi mi ritraggo. Che
scavino gli altri la Grande Buca mentre io resto seduto a guardarli divertito, assaporando il profumo della terra bagnata. Forse
questo è un modo come un altro di arrivare all’essenza. Ma ha senso chiedersi
quanto le gocce di pioggia che cadono sull’oceano penetrino sotto la superficie
increspata prima di poter essere considerate “mare”?
anche la brezza, se impatta sempre nello stesso punto, col tempo, penetra e scava.
RispondiEliminaStare divertita a guardare gli altri che scavano è anche un po' la mia filosofia.
RispondiEliminaIl sistema binario... ah ah ah!!!!Meno male che qualcuno lo ammette!
come direbbe il saggio, Sticazzi!
RispondiEliminaesserini maldisposti e raggrinziti mi fa troppo ridere :))
RispondiElimina... ma sì che ha un senso chiedersi quanto ... a proposito...quanto?
(albolo hai vegliato su di me, e io ti voglio bene... ora vado a leggere il resto)