L'Inquietudine
J. Kronemberg (periodo ocra)
Sorpreso dal totale disinteresse col quale, all'epoca, i lettori salutarono il mio coraggioso tributo, tre giorni più tardi pubblicai una doverosa precisazione della quale desidero darvi contezza. Tutto ciò per esclusivo amore dell'arte e anche un po' per secchezza delle fauci.
Su Kronemberg (27 ottobre 2006)
Dal numero
spropositato di commenti lasciati nel post precedente, arguisco non senza un
certo disappunto che il mio pubblico non è interessato all’arte o, perlomeno,
non all’artista Kronemberg in quanto tale. Ma forse (ed è quello che voglio
sperare) non è per Kronemberg stesso, peraltro pittore dal talento
indiscutibile, che storcete il naso, bensì per il suo "periodo ocra"
in particolare. In effetti in confronto alle più note e commerciali opere del
"periodo marrone scuro" e "grigio topo", quelle del
"periodo ocra" risultano essere maggiormente ermetiche e
difficilmente comprensibili, almeno ad una prima analisi. Ricordiamo tra
l’altro che queste opere altro non sono se non sofferte espressioni
dell’onirico. Infatti è risaputo che Kronemberg non faceva sogni a colori ma
soltanto in nero ed ocra (però quando era desto pensava a colori, come tutti).
Il "periodo ocra" rappresenta un momento molto tormentato per la vita
dell’artista, caratterizzato da una profonda sfiducia nella giustizia umana e
in una legislazione troppo fiscale e bigotta. Dopo il processo che lo vide
condannare per violenza sessuale plurima e continuata e quello che lo vide
imputato (e naturalmente condannato) per omicidio volontario, aggravato dai
futili motivi, Kronemberg si rese amaramente conto che l’uomo è incapace di
perdonare. Questa scoperta, unitamente alla privazione della libertà, lo porta
a rifugiarsi nei mondi onirici di cui sopra, che rappresenta con precisione e
gusto per il particolare.
Per ulteriori approfondimenti
sulla vita e le opere di Kronemberg si consiglia il volume "Julius Kronemberg, da artista maledetto a carcerato
modello", a cura di P. Baudo ed edito da Mondadori.
E meditate, gente: la gioia che da il perdono è seconda solo a quella che da il tiramisù
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